28 Marzo

Legge UE sul Copyright: quando le "buone intenzioni" non bastano.

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La famigerata riforma del copyright a livello europeo è realtà. Ora si fanno i conti per capire in che modo le direttive presenti nel testo potranno essere recepite nei diversi Paesi dell'Unione. Il Parlamento Europeo ha approvato, lo scorso 25 marzo, la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli — possibilità persa per appena 5 voti contrari.

 

Proteste internazionali

A livello internazionale, gli sforzi dei cittadini, degli attivisti, e degli esperti di internet, degli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale, persino in una lettera aperta, gente come Tim Berners Lee (creatore del WWW) o Jimmy Wales (fondatore di Wikipedia), chiedono al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani di intervenire, non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online.

Nello scorso weekend quasi 200 mila persone hanno manifestato in diverse città europee. La petizione online che chiedeva la rimozione dei due articoli ha raggiunto il record di oltre 5 milioni di firme. Migliaia di cittadini hanno contattato telefonicamente i propri rappresentanti per chiedere di opporsi agli articoli 11 e 13.

Inoltre, il 21 marzo Wikipedia ha oscurato completamente il proprio sito web in Estonia, Danimarca, Germania, e Slovacchia. Anche Wikipedia in italiano si è unita al blackout.

Copyright o diritto d’autore?

Copyright e diritto d’autore, sinonimi o istituti giuridici diversi? Andiamo con ordine per evitare di cadere in confusione con le due categorie legislative. Il copyright è l’equivalente del diritto d’autore nei paesi di Common Law (ovvero Inghilterra e Stati Uniti). Quante volte hai visto questo simbolo ©? Ha a che fare con il copyright e ti spieghiamo che cos’è. Quando una persona crea qualcosa di originale, ha il diritto esclusivo di utilizzare tale opera, essendo titolare del copyright. Opere audiovisive, registrazioni audio, libri, articoli, dipinti, poster, locandine, videogiochi, opere teatrali possono essere oggetto di copyright perché sono frutto della creatività e sono tangibili. Non puoi utilizzare opere protette dal copyright altrimenti violi i diritti del titolare.

In Italia parliamo di diritto d’autore (siamo in un ordinamento di Civil Law contrapposto giuridicamente all’ordinamento di Common Law) come diritto a veder tutelato il proprio impegno creativo. Un’opera letteraria, musicale, cinematografica merita di essere protetta perché merita di essere tutelato chi si è impegnato a produrla. Il diritto d’autore sancisce la possibilità per l’autore di poter disporre in modo esclusivo delle sue opere. Tutto nasce dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, che nel corso del tempo è stata oggetto di modifiche e integrazioni. Possiamo quindi affermare che copyright e diritto d’autore sono due facce della stessa medaglia.

Cosa cambia con la nuova legge per il Web (e i suoi professionisti)

Nel nostro ordinamento la legge sul diritto d’autore è del 1941, in Inghilterra la legge sul copyright è del 1988. Ancora, in Francia la legge è del 2006 facendo già riferimento alle libertà digitali e alla società dell’informazione. La legislazione europea era invece ferma al 2001, quando Internet già si usava ma non certo come oggi. Facile comprendere che con l’arrivo del Web e l’uso massiccio di Internet e deisocial network, qualcosa andava rivisto se non altro perché fino a poco tempo fa era impensabile l’esigenza di proteggere una foto che viene condivisa sui social o un articolo su un magazine onlineLa nuova legge mira a mettere ordine proprio in questo senso. Naturalmente è prevedibile che qualcosa cambi per chi col Web – e con la produzione di materiale  sul Web e la diffusione di informazioni – ci lavora. Editor, Grafici, Articolisti, Copywriter, freelance… attenzione perché la riforma riguarda un po’ tutti.

La nuova legge sancisce che piattaforme come Facebook, Twitter, Google, siano responsabili delle violazioni del copyright. Forse non abbiamo neanche idea dei milioni di immagini, meme e informazioni che circolano ogni giorno. Questi saranno sottoposti “al giudizio” di un filtro di caricamento che deve valutare che le informazioni protette dal diritto d’autore non arrivino online. Inoltre la norma prevede anche che le stesse piattaforme multimediali paghino una piccola tassa ogni volta che frammenti di un articolo protetto da copyright (snippet) appaiono in un aggregatore di notizie tipo Google News.

ARTICOLI 11 E 13: COME CAMBIERÀ IL DIRITTO D’AUTORE ONLINE

Con il nuovo articolo 11 si potrà chiedere un extra guadagno a chi fa circolare i nostri contenuti originali in rete

Forse l’aspetto che più tocca da vicino chi opera nel Web è l’articolo 11 che prevede un nuovo diritto in favore degli editori di pubblicazioni giornalistiche: l’uso digitale degli articoli sarà fonte di compenso. Gli editori potrebbero trovare in questo una nuova fonte di entrata a vantaggio (a cascata) di chi è freelance nell’editoria online e scrive per gli editori i contenuti. Autori, artisti, fotografi e chiunque altro faccia circolare in rete i propri contenuti originali, può chiedere una remunerazione extra a chi usa le proprie opere.

Il che, di primo acchito, può anche sembrare una cosa positiva: “i colossi del web finalmente pagheranno chi crea i contenuti”. Ma in realtà l’articolo 11 potrebbe avere molti effetti negativi, per noi utenti e anche per gli editori, dei quali questa legge vorrebbe tutelare i diritti. Soprattutto, l’articolo 11 mette a rischio la pluralità dell’informazione, lasciando che le scelte editoriali siano soggette a influenze economiche e politiche

Riforma UE sul copyright. L’art. 11 e la difesa degli editori dagli aggregatori

Per capire l’articolo 11 dobbiamo fare un piccolo passo indietro nel tempo. Negli ultimi 10 anni, i siti di informazione più o meno grandi potevano iscriversi agli aggregatori di notizie, Google News in primis, ma anche Yahoo! News , Libero(in Italia), PulseFlipboard. Gli aggregatori citavano le notizie dei vari giornali e diventavano grossi e famosi, e in cambio veicolavano milioni di click ai giornali iscritti, che poi ci guadagnavano su. Cosa è cambiato ad un certo punto? Che le piattaforme di aggregazione, hanno iniziato ad includere sempre più informazioni fino ad integrare il titolo della news, una foto e lo “snippet”, cioè un piccolo riassuntino del contenuto. E in questo modo i lettori, ad esempio di Google News, riuscivano a capire la notizia senza andare a leggere il giornale che l’aveva scritta.

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E questo ha rotto l’incantesimo: alla fine ci guadagnava solo l’aggregatore che “sfruttava” gli editori.

Se lo snippet degli aggregatori riporta tutto il necessario per capire la notizia, gli utenti non hanno motivo di leggere la fonte. È a questo che vorrebbe porre rimedio l’art.11 della riforma UE sul copyright.

Dopo tante polemiche e proposte, la legge europea, e in particolare l’articolo 11, sono stati sviluppati per raddrizzare la situazione. Secondo la norma se inserisci il link ad una notizia, con un riassuntino scritto da te o con la citazione di un pezzo dell’articolo, devi pagare una tassa all’editore. Una vera e propria “tassa sul link“. Ma soprattutto, e questo è diretto sostanzialmente a Facebook e Google, se crei un trafiletto con Titolo, foto, snippet e link, devi ugualmente pagare l’editore. Insomma, l’idea in sè non è cattiva, anzi. E’ una misura di giustizia nei confronti di chi lavora per produrre contenuti.

Il problema sta che fra il dire e il fare c’è di mezzo la realtà. Questa legge obbliga le piattaforme di aggregazione e i singoli siti web a rinegoziare i loro accordi. Tuttavia, mentre Google o Facebook sono immensamente potenti, il singolo quotidiano che magari deve a loro il 70% o l’80% del suo traffico, non ha lo stesso potere di contrattazione. E’ molto più debole. E all’atto pratico se sceglie di usare la linea dura, esce dall’aggregatore e perde utenti e denaro, mentre se consente l’utilizzo pieno dei suoi snippet, ecco che la legge non è servita a nulla.

È logico supporre che Google, Facebook, Twitter e gli altri grandi di internet sceglieranno di pagare i diritti dei giornali più grandi, più letti e quindi più remunerativi. Rinunceranno invece ai piccoli progetti editoriali, alle testate di nicchia, la cui lotta per la sopravvivenza si farà ancor più dura di quanto già non sia. Di sicuro, verrà meno la pluralità di fonti e dovremo star ancora più attenti alla parzialità dell’informazione.

Google ha preso apertamente posizione contro la direttiva europea sul copyright e ha mostrato con chiarezza come l’approvazione della riforma potrebbe influire sul funzionamento del motore di ricerca: una pagina di risultati svuotata di metadati e immagini. Oltre a questo, Google sta prendendo in seria considerazione la possibilità di rendere inagibile agli utenti europei la sezione *News* del motore di ricerca.

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Gli unici che possono realmente parlare alla pari con le piattaforme, sono i grandi gruppi editoriali dei singoli paesi, e dunque piove sul bagnato. Si salvano sempre i soliti. La norma imposta in Spagna, ha portato alla rottura tra Google News e gli editori ispanici. L’aggregatore non esiste più e migliaia di giornali online hanno perso traffico. Il bello, si fa per dire, è che abbiamo già delle prove concrete delle conseguenze di questa “lotta”: in Spagna non si è trovato l’accordo e Google News praticamente non esiste più, con un danno immenso nei confronti dei millemila siti che ci vivevano attaccati. In Germania, gli aggregatori citano solamente i titoli, ma alla fine sono sopravvissuti solo i grandi giornali e la situazione è più o meno la stessa.

La norma rischia, nonostante le buone intenzioni, di causare un disastro.

Riforma UE sul copyright: l’art. 13 per la protezione dei diritti d’autore

Il secondo problema è relativo all’articolo 13. Anche qui le volontà dei legislatori sarebbero le migliori, e riguardano la difesa del diritto d’autore. Nella situazione attuale, tutti possono caricare dei contenuti online liberamente, specie sulle piattaforme che vivono sullo User Generated Content come Facebook o Youtube. Nel caso in cui il proprietario di un contenuto veda la sua opera riprodotta o condivisa senza il suo permesso, può segnalare la cosa alla piattaforma e in Italia all’AGCOM, che interviene rimuovendola.

Esiste poi il Creative Common, cioè una serie di licenze che consentono di dare una progressiva libertà al riutilizzo dei propri contenuti. L’articolo 13, invece, dice sostanzialmente che le piattaforme devono eseguire un controllo preventivo su ogni contenuto caricato dagli utenti, al fine di verificare che non vi sia alcuna violazione del copyright e solo successivamente accettarlo e renderlo disponibile online. Giusto nella teoria, ma di nuovo devastante nella pratica.

Innanzitutto uno dei principi fondamentali del diritto è che chiunque è innocente fino a prova contraria. Se trasferiamo questo nei contenuti, ogni contenuto è legittimo fino a prova contraria. Ma inserire a priori un filtro significa affermare l’opposto: ogni contenuto è irregolare e non pubblicabile fino al via libera di una autorità. E’ inaccettabile. Per farvi capire un esempio non esattamente allineato ma calzante: se scrivo una lettera di insulti, il postino la recapita e sarà il destinatario a lamentarsi. Con la nuova legge, è come se il postino aprisse la busta, e leggesse per controllare che non ci siano parolacce.

L’art. 13 impone un controllo preventivo su ogni contenuto caricato online, per verificare che non vi sia violazione del diritto d’autore. Da lì alla censura, il passo è brevissimo.

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Il secondo problema è intellettuale: i filtri automatici non capiscono le sfumature dei significati umani, ad esempio l’ironia. Un meme che prende in giro un politico, potrebbe essere bloccato per via dell’immagine del personaggio o per la citazione di una frase, senza capire che non si vuole redistribuire contenuto protetto ma fare satira. Il tutto potrebbe poi prendere la via della censura vera e propria. Un controllo totale su tutto quello che viene caricato online può diventare in un attimo repressivo. Penserete che sia una ipotesi lontana, ma tanto lontana non è: nel 2015, il Governo dell’Ecuador utilizzò la legge sul copyright per mettere i bastoni fra le ruote ad una dozzina di giornali online che criticavano l’operato dell’esecutivo.

Infine il problema puramente tecnico, ovvero degli errori di calcolo e dei blocchi non previsti. La tecnologia esistente più simile è il YouTube ID, che verifica l’audio di un video e lo blocca in caso di violazione. Ebbene, nel 2012, un video con un uccellino che cinguettava fu fermato perchè il suono era presente in un video musicale, e lo sbarco di un modulo della NASA su Marte, venne scambiato per qualcos’altro e rimosso. Simile sorte ad un live streaming del 2013, dove qualcuno si mise a cantare “Buon compleanno” e la diretta fu stoppata.

E dire che il sistema è stato sviluppato nel corso di 11 anni, il che fa capire quanto sia costoso. Da qui anche un altro problema: gli unici a poter avere dei filtri decenti sarebbero le grandi compagnie tecnologiche. Strada sbarrata a piccole iniziative private di condivisione contenuti.

Riforma UE sul copyright. La fine dell’Internet libera?

Ci troviamo di fronte alla fine dell’Internet libero? Secondo noi no, e sostanzialmente perchè la riforma, anche se approvata in via definitiva, dovrà poi essere applicata e adattata alla realtà di ogni specifica nazione europea. E in Italia abbiamo due armi. La prima è il Trattato di Nizza, ovvero la carta dei diritti fondamentali del cittadino Europeo, i cui articoli relativi alla libertà (6-19), potrebbero essere usati per opporsi alla legge.

E in secondo luogo, il carissimo e salvifico articolo 21 della costituzione, che sancisce il diritto alla cronaca e che potrebbe in molti casi “salvare” la libera espressione dal fuoco incrociato di regole e regolette.

Non possiamo fare altro che attendere gli sviluppi, anche se la riforma del copyright dimostra ancora una volta il modo con cui l’Europa intende l’Internet. Gli stati considerano sostanzialmente Google e Facebook come l’internet stessa, e non come due portali che ne fanno parte, e che sono i singoli consumatori od aziende a rischiare maggiormente.

Per loro le uniche vie di salvezza sono la non ancora capillarità della legge, che spesso si traduce in un nulla di fatto, e i singoli articoli delle costituzioni nazionali, che gli permettono di opporsi in situazioni al limite della logica.

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Letto 6420 volte Ultima modifica il Giovedì, 28 Marzo 2019 18:40
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